giovedì 30 novembre 2017

Carlo, l'angelo e il Seicento e seconda intervista di Telestense sulla Mostra di Palazzo dei Diamanti dedicata a Carlo Bononi


Seconda intervista di Telestense sulla Mostra di Palazzo dei Diamanti Carlo Bononi, l'ultimo sognatore dell'Officina ferrarese: all'interno delle attività speciali legate a questa Mostra si è inserita la prima edizione di Ferrara Monumenti Aperti dedicata al '600 ferrarese con il progetto di scrittura e narrazione Le Parole della Bellezza che ha coinvolto circa 900 alunni delle scuole ferraresi. A guidare gli alunni, un mio racconto: Carlo, l'angelo e il Seicento che trovate qui sotto.


 

Ferrara Monumenti Aperti 2017

Le parole della bellezza
progetto di scrittura e narrazione

Carlo, l'angelo e il Seicento
di
Luigi Dal Cin



La tela e il pennello


Un semplice pezzo di tela: ne aveva visti così tanti nella sua vita... e non era certo un pezzo di lusso, piuttosto un avanzo di qualche gigantesca tela che era servita per chissà quale dipinto.
Un ampio straccio di tela, insomma.
Un giorno quel pezzo di tela, di cui nessuno sapeva più cosa fare, arrivò nella bottega di un grande pittore di nome Carlo Bononi.
Era un uomo ormai avanti negli anni, la sua barba era bianca, ma nel vedere quello straccio di tela si rallegrò tutto.
Osservò il pezzo di tela. Lo accarezzò, socchiuse gli occhi, lo sentiva ruvido sotto le dita.
Perfetto! – pensò – Questo finalmente sarà per me... dopo averlo dipinto lo porterò con me, per sempre’.
Così prese il pennello con cui stava dipingendo San Luigi di Francia che scongiura la peste e lo intinse nei colori ad olio.
E stava già per tracciare un segno sulla tela, quando rimase con la mano sospesa in aria.

Non con il pennello, che mi fai il solletico!”.
Il vecchio pittore rimase immobile.
Girava intorno gli occhi smarriti per vedere da dove fosse venuta quella voce. Ma non c’era nessuno. Allora guardò sotto il banco. Nessuno. Aprì l’armadio dove teneva i disegni. Nessuno.
Si vede che quella voce me la sono immaginata – pensò riprendendo in mano il pennello – Ma se invece c’è qualcuno nascosto in questo pezzo di tela, be’, allora ci penserò io a tirarlo fuori!”.
E cominciò così a dipingere.

Ad ogni gesto con il pennello, un segno sulla tela.
Un gesto, un segno, un gesto, un segno.
Andò avanti così per molto tempo, e non si curò più di nulla. Nemmeno di mangiare. Nemmeno di dormire. A una certa età ci sono cose molto più importanti.
Completamente assorto nella sua creazione, teneva gli occhi socchiusi mentre dipingeva, e ogni tanto si allontanava per vedere quale forma stesse prendendo la sua opera.
Ormai era chiaro.
Aveva la forma dei suoi sogni.

Un frullo d’ali.
Carlo era rimasto senza parole.
Fissava la propria creazione, e provava un’intensa meraviglia.
Sei mio padre?” gli chiese l’angelo volgendo lo sguardo intorno.
Carlo lo guardò con dolcezza: “Ti ho dipinto io”.
E io, chi sono?” chiese l’angelo.
Tu sei la mia speranza, Genio delle Arti”.
Grazie per avermi liberato dalla tela” disse l’angelo.


Due terremoti


Il nuovo secolo, il Seicento, si era aperto dopo due terremoti che, in meno di trent'anni, avevano sconvolto Ferrara.
Carlo Bononi, il mio creatore, me lo diceva spesso: “Due terremoti che hanno cambiato per sempre il volto di Ferrara”.
Nel 1570 avvenne infatti un devastante terremoto che danneggiò molti edifici di Ferrara, tra cui quelli sacri, proprio come è accaduto in questa città più di recente, con il terremoto del 2012.
L'altro non fu un vero terremoto 'fisico' ma un terremoto politico che riguardò un grande cambiamento nel governo della città: nel 1598 si compì la Devoluzione, ovvero Ferrara passò dal governo dei Duchi Estensi al governo dello Stato Pontificio.
Poiché il duca Alfonso II non aveva avuto eredi maschi, alla sua morte gli succedette il cugino Cesare. Ma esisteva da tempo un documento papale che stabiliva che se la discendenza non fosse avvenuta attraverso successori diretti, ovvero attraverso figli maschi, il ducato sarebbe dovuto tornare sotto il governo dello Stato Pontificio. Gli Estensi furono così costretti a lasciare Ferrara.
Cesare d'Este se ne andò dalla città nel gennaio 1598 insieme a tutte le opere d'arte proprietà degli Estensi con un triste corteo composto da pochi fedelissimi, solo 38 tra le centinaia di persone che avevano un tempo affollato la Corte Estense. Nella direzione opposta il corteo trionfale dei nuovi governatori di Ferrara fu sfarzoso e ricco di figure illustri, tra cui lo stesso papa Clemente VIII, il quale giunse di persona a prenderne possesso, trattenendosi per oltre sei mesi, così da aver modo di visitare e conoscere città e territorio. Alla sua partenza, l’ex ducato aveva già ricevuto una nuova forma di governo: a rappresentare ed esercitare il potere temporale sarebbe stato un cardinale col titolo di legato pontificio. E così, in qualità di 'legato pontificio', il cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, fu nominato governatore di Ferrara, e iniziò in questo modo un nuovo capitolo della storia di Ferrara.
Fu proprio la Devoluzione la causa che portò alla dispersione delle opere d'arte che, ad esempio, ornavano il Castello: quei dipinti, portati via dal Castello e venduti poi per necessità, dopo essere passati di mano in mano ora si trovano nei maggiori musei del mondo.
Ferrara passò quindi da corte europea centro di arte e di cultura a provincia ai confini del vasto Stato Pontificio. E proprio perché città di confine, l'autorità pontificia si preoccupò di edificare una grandiosa nuova Fortezza che andava a cancellare definitivamente antichi e importanti simboli degli Estensi come la Delizia di Belvedere e Castel Tedaldo. Per far posto alla Fortezza, infatti, si rase al suolo un intero rione cittadino, con case, chiese e palazzi, e si edificò una gigantesca struttura difensiva a forma di stella a 5 punte, provvista di mura e terrapieni.
Ma se la Devoluzione sembrava portare Ferrara verso un inesorabile declino, in realtà l'arrivo del governo pontificio richiamò in città numerosi ordini religiosi e l'attività di ricostruzione e rinascita necessaria dopo il sisma del 1570 offrì occasioni di nuove creazioni artistiche che resero originale ciò che avvenne a Ferrara per buona parte del Seicento.
Innanzitutto sotto la spinta dei numerosi ordini religiosi che fiorirono in città dopo l'arrivo dello Stato pontificio, per ricostruire ciò che era stato danneggiato o distrutto dal terremoto del 1570, furono edificate nuove chiese e nuovi monasteri, in cui mostrare nuovi dipinti, secondo il nuovo gusto dell'epoca e i nuovi dettami che il Concilio di Trento richiedeva ai pittori di storie sacre.


Tre regole


Nel Seicento arrivò infatti a maturare la consapevolezza dell’importanza dell’immagine nei luoghi sacri. Il Concilio di Trento – la riunione di tutti i vescovi del mondo per rinnovare la Chiesa che si concluse nel 1563 – lo sottolineò: la raffigurazione di temi religiosi nell’arte era da considerarsi utile per illustrare i fatti sacri agli occhi di chi non poteva o non sapeva leggere le Scritture.
In un passo del decreto del Concilio si dice: “il popolo venga istruito, a mezzo di raffigurazioni pittoriche, sui misteri della nostra redenzione affinché si rafforzi l'abitudine di avere sempre presenti i princìpi della fede”.
Questo si tradusse in tre esortazioni per tutti gli artisti che volevano dipingere opere sacre. I loro dipinti dovevano uno: risultare chiari, semplici, comprensibili a tutti; due: risultare realistici (ad esempio, il martirio dei santi o di Gesù doveva essere presentato con precisione e verosimiglianza, fin nei minimi particolari, in modo che chi osservava si convincesse che non si trattava di fantasie, ma di realtà davvero accadute); tre: muovere i cuori all'emozione e alla compassione (ad esempio i gesti delle mani, l'espressione dei volti, la posizione del corpo dei personaggi ritratti nei dipinti dovevano essere sensazionali, drammatici, teatrali: dovevano emozionare in modo da suscitare un sentimento forte di pietà religiosa e di compassione verso il prossimo; in modo insomma che chi aveva ammirato quel dipinto non rimanesse indifferente come prima, ma se ne andasse con il cuore cambiato).
Giovanbattista Aleotti fu, in quel periodo, l'innovatore ferrarese nel campo dell'architettura: portò in città lo stile Barocco che in quel momento era di grande attualità a Roma. È lui che progettò, ad esempio, la chiesa di San Carlo, l'Oratorio dell'Annunziata, la chiesa di Santa Francesca Romana, la torre campanaria della basilica di San Francesco.
Carlo Bononi, il mio creatore, fu invece, in quegli anni, l'innovatore ferrarese nel campo della pittura.
E io ne sono molto orgoglioso.

Cuore liquefatto


Carlo seppe mettere su tela con grande passione le esortazioni che il Concilio di Trento aveva fatto a tutti gli artisti che volevano dipingere opere sacre.
Per secoli il mio creatore, Carlo Bononi, come del resto l'arte di tutto Seicento ferrarese, è rimasto in ombra, offuscato dalla straordinaria luminosità dell'arte rinascimentale della Ferrara degli Estensi. Eppure Carlo fu un artista unico che seppe interpretare in modo sublime e appassionato il desiderio di Dio tipico del suo tempo.
Carlo riusciva a mettere sempre al centro delle sue opere l’emozione e la compassione, il rapporto profondo e sentimentale tra le figure dipinte e l’osservatore. Negli anni drammatici dei contrasti religiosi, dei terremoti e delle pestilenze, il sapiente utilizzo della luce e delle ombre e lo spettacolare uso alla teatralità dei gesti e delle espressioni dei personaggi dipinti fanno di lui uno dei primi pittori barocchi d'Italia, come testimoniano le straordinarie decorazioni di Santa Maria in Vado.
Ma Carlo, nelle sue opere, seppe calare il sacro nella realtà quotidiana, incarnando santi e madonne in persone reali e concrete: i suoi martiri e i suoi santi, in particolare, hanno corpi dipinti con una perfezione straordinaria, così come natura li aveva fatti. Era un naturalista: sapeva mostrare la natura reale degli ambienti, dei paesaggi e delle persone. Nelle sue tele si divertiva a rappresentare piccoli veri particolari quotidiani che danno il sapore della realtà... le sue opere sono insomma, come chiedeva la Chiesa, realistiche. E riusciva a far dialogare il naturalismo che sta in terra con la sacralità che sta in cielo.
Si può notare molto bene il suo naturalismo, ad esempio, nella 'Esaltazione del nome di Dio' dipinta ad olio nel catino dell'abside della basilica di Santa Maria in Vado. Se osserviamo con attenzione ci accorgeremo che tutti i corpi, specie quelli non vestiti, sono ritratti con una grande perfezione e, in particolare gli angeli, assumono qualsiasi posa un corpo possa assumere nello spazio. Sono corpi che sembrano davvero reali da quanto sono perfetti! E così tutti gli angeli sembrano fare una specie di grandiosa felice ginnastica danzante sulle nuvole intorno al nome di Dio. Tutto questo trasmette una forte sensazione di libertà, tanto che ogni volta che osservo quel dipinto mi viene voglia di volare per muovermi anch'io libero nello spazio.
Ma il suo naturalismo si può notare ad esempio anche nelle 'Nozze di Cana' del presbiterio dove Carlo riesce a farci vedere una festa nel Seicento come fosse una foto, dipingendoci particolari verosimili: come il ragazzo che, sorridendo, getta fiori dalla balconata, o come il cantore che cerca di riacciuffare lo spartito che gli è volato giù.
Davvero Carlo Bononi era il cantore della verità, oltre che dell'emozione.
Tutto questo era ben chiaro agli occhi dei suoi contemporanei.
Il 'divino' pittore Guido Reni, a pochi mesi di distanza dalla morte di Carlo, avvenuta nel 1632, si rifiutava di completare un dipinto di Carlo Bononi per il rispetto che aveva della sua grande arte, e lo esaltava descrivendolo “pittore non ordinario” dal “fare grande e primario”, dotato di “una sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito”.
Girolamo Baruffaldi scrisse che quando il famoso Guercino veniva a Ferrara, non perdeva occasione di andare a Santa Maria in Vado per “contemplare” i dipinti di Bononi e dimostrava una così grande ammirazione che non riusciva più ad andarsene via. E quando poi se ne doveva andare, Guercino mostrava “lacrime di giubilo agli occhi”.
Tito Prisciani, priore di Santa Maria in Vado e committente di Bononi, descrisse il modo di dipingere di Carlo Bononi a un altro cliente dell’artista, il reggiano Sebastiano Munarini. Indirizzando a quest’ultimo una lettera il 4 novembre 1622 nella quale si complimentava della buona riuscita della Resurrezione di Cristo che Bononi aveva realizzato, Prisciani affermò che «il signor Carlo merita di essere stimato, perché li colori che lui adopera sono fatti di core liquefatto».
Questa efficace metafora 'i colori che lui adopera sono fatti di cuore liquefatto' descrive molto bene la pittura di Bononi, evidenziandone le qualità empatiche, partecipate ed emozionali. Il giudizio di Tito Prisciani è espresso a ragion veduta, avendo appena commissionato all’artista le grandiose decorazioni della tribuna della propria chiesa con scene tratte dalla vita della Vergine e da quella di Cristo, ma soprattutto motivato dalla quotidiana conoscenza della prima fase dei lavori compiuti da Carlo Bononi in Santa Maria in Vado: i teleri dei soffitti della navata del transetto e, soprattutto, la avvolgente decorazione del catino absidale.


Mi riconoscerete


Carlo Bononi, il mio creatore, era insomma un pittore tutto votato a mostrare la verità del reale e la fede nel sacro, un pittore capace di suscitare emozioni forti e sincere, e di creare empatia tra i personaggi dipinti e lo spettatore.
La Mostra di Palazzo dei Diamanti 'Carlo Bononi. L'ultimo sognatore dell'Officina ferrarese' è la prima dedicata tutta a lui.
Era ora, dico io: ne sono davvero felice!
Mi riconoscerete, nei dipinti che troverete in Mostra.
Carlo Bononi, il mio creatore, mi disegnava spesso nelle sue opere: era il suo modo per rendermi partecipe di tutto l'impegno, la sapienza, l'emozione che metteva nei suoi dipinti. Sapeva che tutto questo non sarebbe andato perduto: l'avrebbe conservato ogni sua opera. L'avrei conservato io. Così come ho conservato la memoria degli oggetti che per lui erano legati a un ricordo prezioso, come questa collana, come questa moneta.
Carlo Bononi, il mio creatore, mi ha voluto dipingere a diverse età, ma sono sempre io: io che mi affaccio da una nuvola, io che sto in primo piano o sullo sfondo.
Sono sempre io.
Mi riconoscerete.


L’eredità


Volavano insieme sui cieli di Ferrara.
L’angelo come sempre teneva per mano il vecchio pittore.
Torniamo indietro, vuoi?” chiese Bononi.
L’angelo annuì. Osservò Carlo: gli sembrava improvvisamente triste.
Si diressero volando verso casa.

Puoi lasciarmi la mano ora, Genio delle Arti – sorrise Carlo – credo di aver capito come volare da solo”.
L’angelo non disse nulla, ma allentò la presa della mano. Finché lo lasciò.
Il vecchio pittore volava da solo, accanto a lui.

Credo di aver capito, sai? – riprese dopo aver volato ancora un po’ in silenzio – Penso di dover andare...”.
Sei sicuro?” chiese l’angelo cercando di nascondere le lacrime.
Carlo sorrise: “In fondo, penso di essere pronto”.

Mi dispiace che tu debba andare” disse l’angelo dopo un po’.
Non ti devi preoccupare”.
Ma io ti voglio bene” disse l’angelo, e frullò le ali.
Anch’io!”.
E poi non ti posso seguire... come farò qui, su queste tele, senza di te?”.

Ho capito perché sei venuto a trovarmi, Genio delle Arti! – disse Carlo – Non sei venuto per portarmi via, ma per accompagnarmi e poi restare, vero?”.
L’angelo guardò l’orizzonte davanti a loro: “Ora che ho visto con i miei occhi, mi aspetta il compito di far conoscere tutta la bellezza, l'emozione, la verità... l'amore, la fiducia, la speranza... tutto quello che hai saputo dipingere... te lo prometto: nulla di quel che hai fatto andrà perduto!”.

Allora posso andare via tranquillo – sorrise Bononi – La gente magari ti confonderà con gli altri angeli, per me invece sarai sempre speciale. Sarai la mia speranza, Genio delle Arti. Come un figlio...”.