lunedì 30 luglio 2018

Le fiabe che oltrepassano i confini # 2 - Le voci dei tamtam, i colori dei bambini–racconto: le fiabe dall'Africa

2. Le voci dei tamtam, i colori dei bambini–racconto: le fiabe dall'Africa1

Topolina si infila dappertutto, visita le case dei ricchi e le case dei poveri. Con i suoi piccoli occhi lucidi, spia di notte il nascere delle cose segrete, e non c’è nessuna stanza del tesoro così sicura che Topolina non sappia scavarsi una via per vedere quel che racchiude.
Un giorno Topolina decise di tessere dei bambini–racconto di tutto quello che aveva visto, e vestì ciascuno di loro con un vestito di un colore diverso: bianco, rosso, azzurro o nero.
I racconti diventarono i suoi figli e vissero nella sua casa e le fecero sempre compagnia. Così fu finalmente felice, perché Topolina non aveva figli suoi’.

Sì, succede proprio così.
L’autore di racconti è curioso, si infila dappertutto, visita le stanze dei tesori, spia di notte il nascere delle cose segrete e, dopo aver osservato, comincia a tessere i bambiniracconto nella propria mente.
E deve succedere proprio così: i racconti vanno tessuti piano piano.
Spesso invece c’è chi si butta a scrivere quando nella mente c’è appena un seme, l’ispirazione iniziale, un filo sottile, una scintilla che brilla in modo straordinario, è vero, ma che non è ancora la storia. Quello che prenderà forma così di fretta difficilmente sarà un buon racconto.
I racconti, come fa Topolina, vanno invece tessuti, e l’autore li tesse piano piano, con pazienza e con amore, perché sono suoi figli.
Sono figli che hanno sempre fame, è nella loro natura: hanno tanta voglia di crescere. Il loro cibo è la fantasia e l’invenzione. Così fioriscono, e diventano una ricchezza, offerta a chi c’è adesso, a chi verrà dopo.
I bambiniracconto fioriscono diversi l’uno dall’altro, come i bambiniveri, diversi nella forma, nel carattere, nel tono della voce.
Li si può vestire ciascuno con un colore diverso, e chi non ci crede dia un’occhiata alle illustrazioni nelle pagine che seguono.
Questa breve fiaba proviene dal popolo Ekoi del Camerun: dimostra una straordinaria consapevolezza delle dinamiche dell’invenzione narrativa, e riesce a raccontarle con raffinata maestria e sottile poesia attraverso un gioco immaginativo e simbolico che denota un’altissima maturità culturale e una forte padronanza tecnica.
Eppure esiste un pregiudizio che in occidente considera i racconti tradizionali africani, e la cultura africana in generale, come ‘qualcosa di primitivo’.
‘Primitivo’ è un aggettivo che proviene dall’evoluzionismo, ma che al giorno d’oggi ha assunto una carica emotiva che va oltre il suo significato: è come si dicesse, con vago tono dispregiativo, ‘sai, è una cultura così semplice!’.
Il concetto di ‘cultura primitiva’ applicato all’Africa, in realtà, è stato superato nel momento in cui gli antropologi si sono calati a studiare queste popolazioni vivendo in mezzo a loro, raccogliendo direttamente i loro racconti, toccando così con mano culture tutt’altro che ‘semplici’.
È un pregiudizio, questo, che nasce dal fatto che in Europa per diversi motivi non si conosce quasi nulla della storia dell’Africa e della sua eredità culturale.
Eppure il valore artistico della narrativa tradizionale d’Africa è, sotto molti aspetti, pienamente paragonabile alla qualità dei nostri racconti popolari.
Si tratta di vera arte, spesso segnata da un elevato grado di artificio e di formalismo, a volte con tratti di consapevolezza ironica straordinaria.
Certo, c’è una differenza sostanziale, ma è una differenza che si pone ad un livello diverso rispetto ad una valutazione di maggiore o minore ‘semplicità’: a differenza della nostra, la tradizione narrativa africana è infatti unicamente orale. Le fiabe, i miti, i racconti africani sono arrivati ai giorni nostri esclusivamente attraverso l’oralità, essendo le prime trascrizioni relativamente recenti. E i canoni che creano fascino in una storia raccontata oralmente sono sempre molto diversi da quelli usati per una storia scritta; colui che la raccoglie e la trascrive deve dunque avere le competenze, l’esperienza, la sensibilità non solo per tradurre la lingua, ma anche, per quanto possibile, i codici e le convenzioni narrative.
In ogni caso si tratta di differenti linguaggi artistici e, se la necessità di divulgazione di un racconto orale richiede la sua trascrizione scritta, sarà comunque impossibile alla fine riuscire a restituire appieno i gesti del narratore, le impennate di voce, le battute di dialogo con il pubblico, la dimensione collettiva in cui si è manifestato.
Ecco: nei racconti della tradizione africana questi aspetti legati al narrare a viva voce appaiono molto accentuati, forse più che in altre tradizioni, e la pagina stampata spesso sembra avere per loro spazi troppo ristretti.
Quando alla sera il narratore racconta – sia esso il griot cantastorie africano, o un vecchio autorevole, o il capo del clan, o una donna del villaggio – ecco che la fiaba diventa spettacolo. Il narratore fa sfoggio di tutta la sua arte per affascinare e toccare l’anima del pubblico: l’intonazione della voce viene modulata a seconda delle necessità narrative, la trama viene arricchita a seconda della reazione dell’uditorio, la gestualità è istrionica; per tenere avvinto il pubblico, il narratore ricorre spesso al canto e al dialogo, invitando i presenti ad esplicitare l’insegnamento contenuto nella storia, a dare giudizi sui personaggi, a sciogliere una questione che il protagonista non sa sbrogliare o a risolvere un indovinello. A volte interrompe il racconto intonando il ritornello del tema dominante della storia, e tutti lo riprendono cantando in coro; spesso il tamburo sottolinea il ruolo dei personaggi e scandisce i diversi momenti narrativi.
Nel cominciare la storia, il narratore ogni volta delimita con apposite frasi di apertura e di chiusura lo spazio magico del racconto. Possono essere frasi brevi – come il nostro ‘C’era una volta...’ o come il misterioso termine Tuareg ‘Amashahu!’ – oppure vere e proprie formule.
L’uso di una frase di apertura sospende all’improvviso il tempo, e lo fa scorrere nell’animo di chi ascolta: fa vivere in lui il tempo dell’intero popolo o, meglio, della sua memoria. Il tempo narrativo viene così collocato, insieme al tempo presente, nel lontano tempo del mito, là dove gli antenati hanno saputo discernere ciò che conta per la vita e la felicità, hanno scoperto i valori fondanti e saputo costruire la saggezza, hanno fissato le regole sociali. Affidare l’evento narrativo al tempo del mito significa così mantenere la comunicazione tra generazioni, assegnando agli antichi il ruolo di depositari dei valori e del patrimonio collettivo che fondano l’identità culturale di quel popolo.
La narrazione della fiaba, dunque, non è semplice intrattenimento, ma ha una funzione di identificazione e di appartenenza sociale, di trasmissione di valori, di istruzione (divertente), di educazione dei più giovani.
Certo, esistono molti generi di racconti nella tradizione africana, e molti sono i temi, anche a seconda del contesto geografico in cui nascono.
Una distinzione che in genere viene fatta riguarda il Nord Africa al di sopra della fascia del deserto del Sahara, partecipe della grande circolazione fiabistica indiano-islamico-europea, e la cosiddetta Africa Nera che invece ne appare più estranea, con elementi narrativi maggiormente autonomi. In generale, la letteratura popolare dell’Africa Nera costituisce sorprendentemente un’unica entità: fatto, questo, che non si potrebbe dire per nessun altro territorio di tali dimensioni. Le somiglianze riguardano i tipi di intreccio, i contenuti, i personaggi ricorrenti, gli espedienti letterari... è raro, ad esempio, trovare un’altra tradizione in cui l’uomo appaia così ancorato alla terra in modo altrettanto forte e indissolubile: da essa l’uomo dipende in modo totale fintanto che gli procura cibo e sicurezza, e la sua vita, in questo, è accomunata alla vita degli animali.
E proprio gli animali sono i personaggi principali delle fiabe d’Africa sebbene, anche quando la scena del racconto appartiene tutta a loro, il protagonista rimanga sempre l’uomo. Il primo elemento che emerge leggendo una fiaba africana è infatti che agli animali vengono dati attributi umani – gli animali lavorano, si sposano, vivono nelle capanne, sono capaci di sentire, parlare, pensare come gli uomini – e che spesso gli animali comunicano con l’uomo da pari a pari. Ogni animale è antropomorfizzato e porta un nome proprio, conserva il proprio carattere naturale assumendo allo stesso tempo un preciso ruolo fisso nella società animale che diviene specchio di quella umana. Le storie con protagonisti animali presentano così una duplice prospettiva: da una parte ci si propone di spiegare caratteristiche ed abitudini dell’animale, dall’altra di spiegare i vizi dell’uomo attraverso i comportamenti animali, con lo scopo di fornire una lezione morale o di ironizzare su alcune abitudini tipicamente umane.
Ecco allora che la lepre e la rana sono l’immagine dell’uomo debole e povero – ma intelligente e coraggioso –che riesce a difendersi dai prepotenti; il leone e il leopardo, temuti per la loro forza, diventano figura dell’oppressore arrogante che, confidando troppo nelle proprie forze, finisce per diventare stupido e farsi giocare dai più piccoli – ma più ingegnosi – di lui; la iena è solitamente l’animale sciocco, simbolo dell’uomo egoista e subdolo.
Le fiabe così, raccontando degli animali, trasmettono una concezione della vita, parlano dei piccoli, degli oppressi, dicono l’ingiustizia, la prepotenza, il coraggio, l’amore, la generosità: ché raccontare non significa limitarsi ad accumulare aneddoti più o meno curiosi...
E tutto avviene ancora oggi attraverso gli antichi tempi del raccontare e dell’ascoltare, sebbene in alcune zone d’Africa, specie nelle grandi città, le modalità delle narrazioni collettive comincino a competere con un nuovo sistema di intrattenimento che viene da lontano e che si impone con forza nelle case.
Nella nostra cultura occidentale l’incontro tra la modernità massmediatica e il racconto è avvenuto da tempo, e sembra aver messo in crisi quest’ultimo. In confronto alla cultura africana è come se ci fossimo da tempo privati di una facoltà che sembrava inalienabile: la capacità di scambiare esperienze. Come scriveva Calvino: ‘Mi sembra che ormai al mondo esistano solo storie che restano in sospeso e si perdono per la strada’. Dare valore alla narrazione significa invece tornare alla ricostruzione paziente della coscienza storica, alla comunicazione interpersonale di esperienze significative, all’ascolto dell’altro; per promuovere una reale identità narrante, slegando dal produttivismo economico il valore delle persone e delle esperienze.
E in tutto questo, per gli africani, per Topolina, come per noi occidentali, si tratta in fondo di saper dare voce all’universale profondo desiderio di narrare: tessere innanzitutto delle belle storie, divertenti o terrificanti che siano, e farle lievitare dal gusto del racconto, dalla volontà di comunicare sé stessi ad un altra persona, avvicinando così identità diverse.
L’Africa ha spesso subito tragiche umiliazioni nelle sue vicende millenarie, così come sta accadendo di questi tempi, e sono convinto che una delle umiliazioni più pesanti che sta subendo ora il popolo africano sia l’indifferenza verso la sua storia, la sua cultura, la sua eredità: la negazione della sua identità culturale, il cui riconoscimento, invece, è condizione per ogni dialogo.
Le fiabe, in questo, sono un potente antidoto.
Siano benvenuti, allora, tutti i bambiniracconto.

Filastrocca dei racconti bambini2
di Luigi Dal Cin

Topolina, che è curiosa, sa infilarsi dappertutto,
nelle tristi catapecchie e nei palazzi dei più ricchi,
coi suoi occhi rilucenti sa raccogliere ogni frutto:
dalle lacrime del povero, a diamanti di sceicchi.

Topolina spia di notte coi suoi occhi luccicanti
i segreti più segreti che nel buio stan nascendo,
e lei sola sa seguire quei percorsi serpeggianti
che la portano alle stanze del tesoro più stupendo.

Quando ha smesso di osservare coi suoi occhi piccolini
Topolina torna a casa e ha molte storie nella mente,
così inventa i suoi racconti che diventano bambini:
con amore se li tesse, se li intreccia lentamente.

Poi li veste, i suoi bambini, con vestiti colorati:
con il bianco vestirà il suo racconto più radioso,
con l’azzurro coprirà tutti i sogni suoi sognati,
e ogni storia diverrà, così, un figlio capriccioso.

I racconti son suoi figli, e Topolina ora è contenta
perché vivono con lei e le fanno compagnia.
Non aveva figli suoi, e non pensiate che vi menta:
Topolina ora ha dei figli che son nati per magia.


1 tratto da Luigi Dal Cin, Le voci dei tamtam, i colori dei bambini–racconto, saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia – 24a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’, ottobre 2006
2 tratto da Luigi Dal Cin, Wiligelma Cook, La Scuola Editrice, 2012