mercoledì 1 agosto 2018

Le fiabe che oltrepassano i confini # 3 - Il sogno della farfalla: le fiabe dall'Estremo Oriente

3. Il sogno della farfalla: le fiabe dall'Estremo Oriente1

Una volta, tanto tempo fa, io Chuang Tzu sognai di essere una farfalla.
Cominciai a volare nell’aria come un petalo, felice di essere una farfalla, e senza sapere più nulla di Chuang Tzu.
All’improvviso mi svegliai e allora mi tastai, ecco: ero tornato ad essere proprio Chuang Tzu.
Adesso però io non so più se sono Chuang Tzu che ha sognato di essere una farfalla, o se invece sono una farfalla che sta sognando di essere Chuang Tzu.2

Questo breve racconto tradizionale cinese, qui riportato nella versione di Chuang Tzu, scrittore di scuola taoista, ci spinge a spalancare le porte della fantasia e ad addentrarci nell’immaginario fiabesco dell’Estremo Oriente.
Per Estremo Oriente, in genere, si intende l’area che comprende Cina, Corea, Giappone e Mongolia: una superficie geografica di enorme estensione in cui si incontrano società spesso profondamente differenti ma che, allo stesso tempo, presentano elementi antropologici e culturali comuni.
E i comuni archetipi che caratterizzano le fiabe dell’Estremo Oriente appaiono, già alla prima lettura, ricchissimi di suggestioni, specie per noi europei.
Si tratta di fiabe per tanti versi simili a quelle della nostra tradizione, ma con un’anima vibrante che suscita nel lettore occidentale un grande fascino e un forte senso di stupore. Oltre ad un certa dose di sconcerto.
Molte fiabe orientali, infatti – anche quelle che sembrano più semplici – esprimono una profonda ricchezza filosofica e tendono a evidenziare con modalità surreali i paradossi e le illusioni della realtà che ci appare.
Non solo: spesso mostrano, dal punto di vista della struttura narrativa, un’intrinseca diversità rispetto a quelle europee. Tanto da disorientarci.
Le fiabe dell’Estremo Oriente, infatti, si strutturano spesso in modo circolare e ci conducono ad una conclusione che a noi occidentali appare del tutto identica al punto di partenza: una struttura antitetica rispetto a quella tipica della fiaba europea che segue invece una dinamica lineare e progressiva per condurci ad una situazione risolutiva rispetto a quella iniziale.
Nella fiaba occidentale accade ad esempio che il più piccolo dei fratelli, quello che tutti considerano svantaggiato, parta un giorno alla conquista dell’eredità del re e – in una concatenazione lineare di eventi – dopo aver superato una serie di prove grazie al proprio coraggio, riesca nel suo intento e sposi la principessa di cui si è nel frattempo innamorato.
Spesso la fiaba dell’Estremo Oriente ci accompagna, invece, ad un finale in cui il lettore occidentale sperimenta uno stato di vuoto, dove sembra che nulla alla fine sia accaduto.
Non è così. Cioè: non è vero che non sia accaduto nulla.
È invece successo qualcosa: è accaduto esattamente il Nulla.
La fiaba orientale esprime così proprio il Non–Essere inteso, nel contempo, come Essere nella sua forma più piena.
Prendiamo ad esempio il Taoismo che costituisce il quadro di riferimento per comprendere ‘Il sogno della farfalla’. Il Taoismo cerca l’armonia nel continuo mutamento di tutte le cose in quanto considera l’universo basato su due forze opposte e complementari: lo yin (principio femminile) e lo yang (principio maschile). Ogni elemento della realtà viene associato con il maschile o il femminile: il caldo e il freddo, la luce e il buio, il pieno e il vuoto, il sorgere e il tramontare, il cielo e la terra. L’arte del vivere è vista come una navigazione tra gli opposti – più che come una loro guerra – e consiste nel saper tenere in equilibrio i contrari affinché, unendosi, amorevolmente si annullino.
Ecco dunque il Nulla, che è quindi allo stesso tempo Essere nella sua forma più piena in quanto amorevole unione dei contrari.
È possibile così comprendere come la visione taoista del mondo sia serenamente ciclica. La vita e la morte, come tutti gli opposti, vanno e vengono continuamente in una interdipendenza universale.
Ma anche nella visione buddhista del mondo la circolarità del tempo appare come un elemento fortemente caratterizzante, così come nella filosofia Zen.
Ecco allora che la circolarità risulta una delle caratteristiche peculiari anche delle fiabe.
Certo, esistono anche in Estremo Oriente fiabe che hanno una struttura lineare e che si concludono con un matrimonio raggiunto dopo il superamento di faticose prove, ma esistono con frequenza ancora maggiore fiabe con un finale in cui si ritorna alla condizione di partenza, contrassegnata di frequente dalla separazione dei personaggi principali ovvero dall’evento che, nelle fiabe europee, si verifica all’inizio della storia per essere superato via via con il procedere della narrazione.
La differenza di struttura narrativa de ‘Il sogno della farfalla’ rispetto alla fiaba europea – circolare quindi, anziché lineare – è dunque ancor prima espressione di una differenza culturale e filosofica.
Ma non possiamo fermarci qui.
La ricchezza delle fiabe è sorprendente. Molto più profonda di quanto possa apparire a prima vista.
La fiaba esprime anche un atteggiamento nei confronti della natura e della società, perché gli avvenimenti di ogni fiaba sono in realtà lo specchio di tutte le esperienze dell’uomo.
Nelle fiabe dell’Estremo Oriente il destino dell’uomo e della natura appaiono sempre profondamente intrecciati.
Ne ‘Il sogno della farfalla’ viene rappresentato un particolare stato di trascendenza, dove lo spirito di Chuang Tzu è libero di vagare attraverso la creazione divenendo una cosa sola con un’altra creatura, la farfalla.
Questa interazione tra mondo umano e naturale è un aspetto comune sia al Taoismo che al Buddhismo.
Il Taoismo insegna a seguire la corrente dei fenomeni naturali e considera la vita umana come un’integrata caratteristica dei processi del mondo, non come qualcosa che vi si oppone o che se ne separa. Noi e quanto ci circonda siamo il processo di una sfera unificata: è questo ciò che i cinesi chiamano Tao. E anche nel Buddhismo vi è una legge universale per cui la differenza tra quello che facciamo e quello che ci accade sembra scomparire. È chiaro così che ogni sofferenza inferta ad un altro essere umano, o alla natura, ha come conseguenza un danno per noi stessi.
È questo un elemento caratteristico delle fiabe orientali che offre spunti notevoli al mondo occidentale, ovvero a tutta quella cultura – in cui sono immersi anche i nostri bambini – a volte troppo egocentrica e sorda ai segni della sofferenza degli altri uomini e della natura.
E così, tra le righe delle fiabe, emerge anche un ideale di società e di giustizia.
Di sicuro leggere in pubblico una fiaba come ‘Il sogno della farfalla’ nella Cina del XVII secolo significava sobillare il popolo contro l’ordine sociale.
Sembra incredibile poter pensare che le fiabe abbiano questo potere. Eppure una fiaba che racconta come le creature viventi (un uomo e una farfalla) esistano sullo stesso piano liberi da tutto – anche da impegni verso gli antenati o verso i discendenti – distrugge la premessa fondamentale dell’ordine sociale cinese dettata dalla filosofia confuciana: il diritto ereditario che giustifica la gerarchia sociale imperatore–suddito, padre–figlio, marito–moglie, funzionario–contadino.
E così in Cina accadeva che mentre gli scritti confuciani difendevano gli ordini sociali superiori (imperatore, padre, marito), le fiabe popolari davano voce agli ordini inferiori, trovando come interpreti gli scrittori taoisti che trascrivevano le storie delle ingiurie inflitte dai potenti ai subordinati; inclusi i bambini, le donne, gli animali.

Ecco dunque alcuni dei motivi generali che appartengono alle fiabe dell’Estremo Oriente: già ci chiamano ad un affascinante viaggio in un altro modo di pensare.
Ogni realtà geografica locale, poi, ha saputo sviluppare nelle proprie fiabe elementi distintivi e peculiari.
Riscontrabili ad esempio nelle figure dei personaggi animali.
Sappiamo che i personaggi delle fiabe esprimono funzioni narrative più che caratteri psicologici, ma è anche vero che il contesto culturale in cui la fiaba nasce conferisce ai propri personaggi una certa fisionomia, spesso specifica.
Così in Giappone troviamo la volpe (kitsune) vista come spirito furbo, misterioso, infido, affascinante, capace di trasformarsi in modi imprevedibili e di arrivare a possedere la mente dell’uomo; o il tengu, il volante ‘cane celeste’ dal volto rosso, rappresentato solitamente con un ventaglio di piume in mano, che ha l’abitudine di provocare incendi, favorire le guerre, rapire i bambini, far sparire gli adulti.
Per la Cina accenniamo almeno al drago, simbolo per secoli dell’impero (il viso dell’imperatore è ‘il volto del drago’ e un imperatore in collera ‘increspa le squame’) visibile ovunque: ricamato sugli abiti da cerimonia, sui soffitti dei teatri, dipinto sulle ceramiche e sulle prue delle barche. Il drago è l’essere che incarna lo spirito cosmico acquatico e vive dell’energia del ciclo dell’acqua: pioggia, fiume, mare, vapore e pioggia ancora. In Cina il drago annuncia i temporali sputando fulmini, alza il vento battendo le ali e, volando tra le nubi, rappresenta la pioggia con tutte le sue benedizioni.
Le fiabe che invece provengono dalla Mongolia, immensa steppa su un altopiano battuto dai venti siberiani, esprimono fortemente la tradizione nomade dei suoi abitanti: gli animali rivestono un ruolo così fondamentale in quella quotidianità che nelle fiabe non esistono mai barriere linguistiche tra loro e gli uomini. Accade allora che il cavallo, amico fedele, può dare buoni consigli per aiutare il proprio padrone, e che per intimorire lo sciocco lupo – frequente pericolo per le greggi – basti una minaccia verbale fatta con la dovuta fermezza.
Nelle fiabe della Corea il ruolo del cattivo, invece, è affidato di solito a due personaggi animali estremamente differenti: alla tigre, un tempo assai diffusa in quella penisola e portatrice di attacchi mortali specie nei villaggi più sperduti, e al singolare millepiedi, continuo subdolo ideatore di misfatti e malefici.

Ma l’elemento fondamentale che accomuna le fiabe dell’Estremo Oriente e che più affascina il lettore europeo è certamente la loro scrittura: i sapienti tratti d’inchiostro con cui le fiabe tradizionali sono state fermate sulla carta.
In tutti i paesi dell’Estremo Oriente vi è uno storico amore per la calligrafia, un’ammirazione per la bellezza dei caratteri scritti che – originariamente – non erano altro che precise immagini naturali. Un proverbio cinese dice che un’immagine è meglio di mille parole, perché è più efficace mostrare che descrivere. Nel corso dei secoli i pittogrammi graffiati sul bambù sono diventati figure disegnate con il pennello su seta o su carta, poche delle quali hanno ancora una somiglianza riconoscibile con le loro forme originarie. Ma proprio per il fatto che la scrittura in Estremo Oriente è almeno di un gradino più vicina alla rappresentazione della natura rispetto al nostro alfabeto, ecco che non è possibile trovare in nessun altro mondo fiabesco un’unione così forte tra scrittura e illustrazione.
Ed è così che la scrittura delle fiabe e la loro illustrazione – le due forze artistiche che insieme danno vita ad ogni vero buon libro per ragazzi – proprio in Estremo Oriente si trovano da tempo talmente vicine da essere in realtà, nella loro stessa essenza, profondamente unite.
Nello stesso favoloso segno.


1Tratto da Luigi Dal Cin, Il sogno della farfalla: le fiabe in Estremo Oriente, saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia – 25a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’, ottobre 2007

2tratto da ‘Il vecchio, il sogno e la farfalla’, Luigi Dal Cin, Favolosi intrecci di seta – Fiabe dall'Estremo Oriente, Franco Cosimo Panini Editore, 2007